Un viaggio attraverso lo studio del tarantismo con Vincenzo Santoro.

Da dove parte e dove è arrivato, forse un punto di arrivo in un mondo magico non esiste. il Tarantismo “il fenomeno della tela infinita”. Vincenzo Santoro, responsabile del Dipartimento Cultura e Turismo dell’Anci ha tenuto un interessante seminario sull’argomento tra il Salento e il Cilento, uno tra i tanti eventi culturali proposti nello spazio del progetto “Biblioteca Digitale” con tanti enti partners, con il contributo della Professoressa Annamaria Vitale responsabile del progetto: Fondzione CON IL SUD Gunaikes Cooperativa Sociale. Dalla cornice generale al particolare, da un punto di partenza quale il sud della Puglia alla Campania e fino ad una trama infinita di combinazioni che hanno portato questo dispositivo culturale ai massimi livelli artistici.

Il tarantismo ha un’essenza mistico-religiosa che affascina e trascina, quell’aspetto insondabile che lo caratterizza ha attenzionato i maggiori storici e studiosi del campo etnografico, antropologico e non solo, ha attirato artisti e musicisti a tutto tondo. Vincenzo Santoro studioso attento ci ha guidati in questo cammino di esplorazione, identificazione e liberazione che la magia dei suoni e dei colori soli riescono ad evocare. La tarantella da morso del ragno dal quale curarsi diviene la massima espressione culturale colta di una terra del sud che attraverso di essa cerca il suo riscatto, manifestandosi nella sua essenza tradizionale e artistica. Uno specchio dell’anima di una terra che non è mai completamente riflessibile totalmente e che lascia sempre qualcosa di insondato.

La tarantella in versi di Stefano Contente

La danza scrive e descrive con le movenze  i versi  di una poesia in movimento, come la penna del poeta fa con l’opera scritta. Ogni arte descrive un’immagine, trasmette un’emozione e suscita un ricordo, tutto racconta una storia. Nei versi che seguono di Stefano Contente, scrittore cilentano in lingua e dialetto,  tutte le arti si intrecciano: si ascolta la  musica dei passi evocata dalle immagini pittoriche disegnate dai versi attraverso la parola, la parola che esalta tutto ciò che gira intorno a questa danza salvifica. La tarantella si, la danza che salva, che cura il corpo e lo spirito, la danza che racconta una storia attraverso le movenze di una tradizione antica. Niente è casuale, il ritmo incalzante, le mani che si liberano nell’aria, il battito a contatto con la terra, tutte le movenze e la gestualità del Mediterraneo. La terra, quella che ci trattiene, quella che ci dà la vita e quella che ci custodisce nel riposo, tutto il cerchio della tarantella ci riporta ad essa, ne descrive il percorso e ne racconta la storia. Stefano Contente ha saputo cogliere e descrivere con grande sensibilità e spirito di osservazione tutti i dettagli di questa danza eterna come il ciclo della vita.

La Tarantella

Profonde radici,

irrigate da sorgenti vitali,

profumo di Mediterraneo,

odore di gente

ambrata al sole del Sud,

vestita di tradizione,

un volo vibrante di farfalle,

son le mani,

che si librano fendendo l’aria.

Leggere e sinuose movenze di corpi,

anche l’anima danza,

tra il cielo e il mare,

ritmi incalzanti risuonano,

trepidi piedi saltellano,

catturano il mio sguardo.

Anche lo spirito s’addolcisce

e s’inebria di note,

il corpo seduce,

la mente ne leviga gli angoli,

la pelle riverbera,

sotto un cielo di stelle

si balla ancora!

L’animo vive e rivive la sua dimensione,

intriso di pittoresche armonie,

che irrorano la passione

e colorano la terra:

si fondono il corpo e il ritmo,

la melodia e l’incedere,

la forza sprigionata dalla natìa terra

ritorna alla stessa terra:

Trionfa la tarantella!

 

Stefano Contente

 

 

 

La gestualità che racconta la storia di un popolo. Appuntamento il 15 Dicembre a Montalto Uffugo (CS) con gli artisti Francesco Nicastro e Celeste Iiritano.

 

La storia si è tramandata prima che con la parola, con i gesti e le danze del sud Italia ne sono una vivissima testimonianza. Su un ritmo terzinato c’è una storia simbolica fatta di movenze che nulla lasciano al caso, racchiudono in esse la mediterraneità in tutta la sua essenza culturale. La tarantella Calabrese nella sua libertà di movimento è una delle espressioni massime di questo aspetto storico delle terre del sud. Due portatori della tradizione come il Maestro Francesco Nicastro e l’artista Celeste Iiritano, il 15 Dicembre saranno ancora una volta testimoni di questa magnifico linguaggio che racconta e ci racconta. Presso la scuola Flash Dance della Maestra Rosanna Chiappetta ci sarà uno stage di Tarantella Calabrese, un appuntamento culturale che attraverso i passi racconta la storia di un popolo. Così il Maestro Nicastro racconta la sua danza: ” la tarantella calabrese ha tanti stili spalmati su tutto il territorio, ognuno con una propria peculiarità ma tutti accomunati da una grande libertà gestuale, ancora è vivissima la tradizione della “Rota”, il cerchio è una costante. Le origini affondano nella notte dei tempi, i muri di alcuni paesini dell’entroterra calabrese sono memoria viva delle contaminazioni dei popoli dominatori che hanno influenzato la gestualità della danza, grazie gli affreschi arabi che possiamo ancora ammirare”. L’organetto e il tamburello la fanno da padrone, in questa danza e ci spiega ancora Nicastro ” I corsi che curo presentano passi codificati in modo tale da tenere il tempo e il ritmo della tarantella al passo col suono che l’accompagna, nonostante io definisca questo ballo atipico poiché ognuno può esprimersi in assoluta libertà di movenze e gestualità”. Tutto è circolare e libero nell’ danze popolari, espressione di ciò che siamo stati e ciò che ci circonda ma soprattutto espressione di un modo di essere, dell’essenza di ognuno di noi che può liberarsi apertamente in un ritmo battente.

La Pizzica, danza la Donna

Nella dinamica della danza della tarantella di origine salentina, quale è la pizzica, il ruolo della Donna è libero, si evince una forma di rispetto che le ruota tutto intorno. Sia nel ballo da sola che in coppia la Donna prima di tutto assume una postura di fierezza, quasi autorevole, schiena dritta e braccia in aria ad accogliere la libertà o ai fianchi a sostegno del proprio ruolo. L’uomo ha le mani incrociate dietro la schiena, un segno di pudore, non vi è mai contatto anche nel ballo a due uomo- donna, ognuno rispetta uno spazio delimitato da un cerchio immaginario, oppure le mani dell’uomo simulano un semi cerchio che accompagna la donna con le braccia. La dinamica è un dialogo alla pari, anzi la Donna nella sua fierezza decide se dialogare , accettare questa forma di dialogo o sfuggirla, nei cerchi concentrici che la pizzica spinge a disegnare c’è un dare ed un avere senza invadere lo spazio dell’altro se non con il consenso reciproco. Questa danza rappresenta e rispetta ciò che dovrebbe essere il rapporto a due tra i diversi generi, oltre che tra tutti gli esseri umani. Un cerchio di scambio di emozioni, idee ed espressioni che sono un dare e avere costruttivo che può essere tale solo nel rispetto dei tempi e degli spazi reciproci senza imposizioni ma nella libertà più assoluta del dialogo.

Il corpo-strumento. Nella danza popolare il corpo suona il ritmo dell’anima.

Il corpo in tutte le danze diviene strumento di comunicazione di ciò che attraverso la musica esso riesce ad esprimere. Il canto è la voce dell’anima ma il corpo ne simula i movimenti, gli dà forma. Nelle danze popolari il corpo riesce ad essere anche suono, quindi strumento inteso come strumento musicale, lo schiocco delle dita, il ritmo battente dei piedi, il battito delle mani sono accompagnatori fattivi degli strumenti musicali in sé. Il movimento simulato per le danze popolari è musicalità , anche senza l’accompagnamento strumentale reale rende benissimo l’idea del ritmo, il corpo diviene strumento perché suona il ritmo dell’anima.

Tamburo a cornice: … il tamburo per sua forma circolare, richiama l’idea di ciclicità rappresenta il centro del mondo ovvero il luogo geometrico di tutte le potenze del cosmo, e anche il l’altare sacro sul quale è sacrificata la materia sonora degli dei. ( G.Bardini, musica e sciamanesimo in Eurasia, 1996).

Essendo la voce il primo strumento dell’uomo, lo strumento musicale nasce come prolungamento delle membra umane, o ancor meglio come tentativo di distanziare la sonorità dal proprio corpo, così l’uomo costruisce strumenti musicali prima ricercandoli nella natura, alla quale si ispira per imitarne i suoni e i movimenti, poi facendosi costruttore di  manufatti artigianali. Il GESTO-SUONO, trasporta l’uomo verso una sperimentazione sonora del mondo che lo circonda, ricercando oggetti o costruendone con lo scopo di essere parte del rituale e di condividere stati d’animo attraverso l’espressione. Il ruolo chiave della musica del rituale permette all’uomo di stabilire contatti con il soprannaturale.  Il tamburo a cornice è uno strumento musicale a percussione che consiste di una singola pelle montata su un anello con piccoli cembali di metallo, oppure senza questi ultimi caso in cui viene a volte definito “muto”.  Gli strumenti musicali sono introdotti dall’uomo in epoca preistorica per contraddistinguere momenti rituali della vita quotidiana, e del cambiamento delle epoche o delle stagioni. Come attestano numerose scoperte archeologiche il tamburello a mano è uno degli strumenti più antichi, l’origine dei tamburi a cornice si perde davvero nella notte dei tempi: esiste materiale iconografico che data di oltre 6000 anni che rappresenta uomini e donne che suonano questo tipo di strumento, soprattutto durante rituali o cerimonie religiose. Anticamente esistevano culture in cui il compito di suonare lo strumento era esclusivamente demandato alle donne. Nell’antica Mesopotamia, nell’Antico Egitto, nella Grecia Antica già era diffusissimo. Il tamburo a cornice è arrivato fino ai giorni nostri ed è specialmente importante nella tradizione musicale popolare, si pensi al tamburello e alla tammorra in Italia. Si stima che le tecniche costruttive  siano cambiate ben poco con il passare dei millenni. Particolare interesse ed attenzione merita in questo contesto il Mediterraneo, che, dando i natali a culture come quella greca, latina ed araba, è anche culla di varianti assai diverse. Le sue forme si presentano assai diverse, ma allo stesso molto affini. SI passa dal Pandeiro galiziano ai famosissimi Riqq e Bendir nordafricani e maghrebini, dai Dayereh e Daf usati in Persia Zone Balcaniche e Turchia, dall’Adufe portghese ai tamburi tradizionali del sud Italia:  i tamburi a cornice Italiani e nello specifico il salentino Tamburreddhu. Il sud Italia ha una tradizione di tamburi a cornice invidiabile e molto ricca e differenziata. In Campania troviamo la Tammorra napoletana, in Calabria il Tambureggiu, e via dicendo.  “E’ originario della mesopotamia, lo prova un vaso risalente al 3000 a.c. conservato al museo di Istambul, che raffigura una processione con personaggi che suonano un tamburello con cornice tenuto sotto il braccio sinistro (…..) di questo si trovano testimonianze in un rilievo nella necropoli di Saqqara, (XIX dinastia , circa 1345 a.c. , Il Cairo, Museo archeologico) raffigurante uomini e donne che eseguono una danza funebre , mentre altre donne suonano castagnette e tamburelli”. ( Facchin, Le Percussioni , ed EDT, Torino 2000).

San Paolo: il Santo dei Tarantolati

San Paolo è a Malta, lo morde un serpente velenoso, lui sopravvive (Atti 28, 1-10). “E dopo essere scampati dal pericolo, si venne a sapere che quell’isola si chiamava Malta. Gli abitanti si dimostrarono di un’umanità non comune verso di noi: ci raccolsero tutti intorno ad un gran fuoco che avevano acceso, a causa della pioggia che era sopraggiunta e del freddo. Avendo Paolo raccolto e gettato sul fuoco un fascio di legna, una vipera, per effetto del calore, schizzò fuori e si avventò alla sua mano. Quando gli abitanti videro pendere dalla sua mano quel rettile, dissero fra di loro: «Costui dev’essere certo un omicida, perché, scampato dal naufragio, la giustizia non vuole che sopravviva». Paolo scosse il rettile sul fuoco e non ne risentì alcun male. Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare o cader morto all’istante; ma dopo aver atteso a lungo, vedendo che non gli veniva nessun male, mutarono parere e dissero che era un dio”. Questa circostanza si è profondamente impressa nella devozione popolare, essendo già radicata nel paganesimo mediterraneo mediante l’antico culto di Ercole, protettore pagano contro i serpenti. Il serpente, uno dei più antichi simboli della cultura mediterranea, incarna, da sempre, le malefiche potenze infere; esso ha in sé il potere creativo e distruttivo, rigenerandosi senza morire e possedendo il veleno che annienta; in particolare, per il mondo contadino, esso rappresentava e rappresenta il pericolo, il maleficio annidato nelle pieghe di una natura non sempre benigna. Evviva! Il Santo sconfigge il morso di bestie velenose! L’Apostolo, nei rituali coreutico-musicali, era invocato quale guaritore dei “tarantolati”, ovvero i colpiti dal morso della tarantola: «Ahi Santu Paulu meu de le tarante!». Ma la Chiesa, percependo il tarantismo come scia del dionisismo indigeno, vitale nell’area salentina e assimilando le tarantolate alle menadi dionisiache, non poteva accogliere dei riti in cui tali donne ondeggiavano le lunghe chiome scomposte al ritmo indiavolato della tarantella. Ecco che la Chiesa si serve del ruolo esercitato sul rituale musicale dalla figura di San Paolo per sterilizzare la valenza eversiva della possessione. A partire dal Settecento, ha inizio il lungo processo di distruzione del tarantismo mediante la cappella di San Paolo in Galatina: qui infatti, annesso alla casa che si credeva di Paolo, si trovava un pozzo di acqua “miracolosa”, presso il quale i tarantolati venivano portati a bere per riceverne la grazia e così guarire. Amputato di tutti i simbolismi musicali e di evocazione, lentamente il tarantismo si spoglia di ogni dignità ed efficacia culturale: l’Apostolo delle Genti, ormai, è strumentalizzato ad esorcista contro i tarantolati.

La trasposizione di due epoche storiche nei canti popolari: “Tammurriata Nera” e “Santa Lucia luntana”.

Le origini della danza campana si perdono in una storia dalle valenze magico-religiose di grande interesse. Inoltre la tradizione dei canti popolari è strettamente legata alla storia, riportiamo due esempi che raccontano due periodi storici cruciali per il meridione: Il Dopoguerra nel sud Italia e la Questione meridionale in “Tammurriata Nera” e in “Santa Lucia Luntana”: la trasposizione storica nei canti popolari.

Nel 1945 Edoardo Nicolardi è dirigente amministrativo di un ospedale di Napoli. Nel reparto maternità succede un fatto “strano”: a una ragazza napoletana nasce un bambino dalla pelle nera. Qualcuno cerca delle scuse: forse c’è qualcosa che la scienza non sa spiegare? La realtà è invece chiara. L’anno prima erano entrati a Napoli i soldati americani e fra loro molti uomini di colore: da allora i casi di bambini nati con la pelle nera erano diventati frequenti. Edoardo Nicolardi (che ha già scritto i testi di canzoni napoletane di un certo successo, fra cui la celebre Voce ’e notte del 1904) va a casa e scrive il testo di “Tammurriata Nera”. Figli della guerra .Edoardo Nicolardi. Il suo consuocero E.A. Mario, celeberrimo musicista (autore fra l’altro della Leggenda del Piave, il più famoso canto storico della Prima guerra mondiale), la mette immediatamente in musica e nasce una canzone ironica e delicata, fra le più belle e trascinanti della storia della canzone napoletana. l’inno dei figli della guerra. La canzone diventa forse la migliore testimonianza delle condizioni di vita nella Napoli del primo dopoguerra, ed in tutte le città italiane dove la vita lentamente ricomincia Quel piccolo mondo antico e rituale, che in passato costituiva il tessuto vivo e palpitante di un popolo ed oggi è  evocato nelle dilanianti note delle tammurriate, che rappresentano una celebrazione dell’assenza, un pozzo senza fondo della memoria collettiva, un requiem della cultura più genuina, appassionato quanto dolente. Dal testo: « È nato nu criaturo, è nato niro, e ‘a mamma ‘o chiamma Giro » « È nato un bambino, è nato nero, e la mamma lo chiama Ciro».

“Santa Lucia luntana” è dedicata ai tantissimi emigranti partenopei che partivano dal porto di Napoli alla volta di terre lontane (quasi sempre alla volta delle Americhe); le parole del brano sono appunto ispirate ai sentimenti che questi provavano allontanandosi dalla terraferma, fissando il pittoresco panorama del borgo di Santa Lucia, ultimo scorcio della loro terra che riuscivano a vedere, sempre più piccolo, all’orizzonte. L’origine delle differenze economiche e sociali tra le regioni italiane è da tempo controversa, anche a causa delle relative implicazioni ideologiche e politiche. La corrente storiografica maggioritaria sostiene che le differenze tra le diverse aree della penisola fossero già molto marcate al momento dell’unità: l’agricoltura intensiva della pianura Padana, l’impulso alla costruzione di strade e ferrovie del Piemonte, e il ruolo del commercio e della finanza vengono contrapposti all’impostazione che caratterizzava il Regno delle Due Sicilie. Altre correnti storiografiche, invece, tendono a valorizzare l’originalità del sud e ad attribuirne l’impoverimento alle politiche perseguite dal nuovo stato unitario.Secondo Francesco Saverio Nitti, tra il 1810 e il 1860, mentre stati come Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Germania, Belgio conobbero il progresso, l’Italia preunitaria ebbe grandi difficoltà di crescita, dovute in gran parte a diverse problematiche come le ribellioni intestine e le guerre d’indipendenza.[4] La situazione era anche aggravata dalla malaria, che affliggeva soprattutto il Meridione.[5] Nitti, riteneva che, prima dell’unità, non vi erano marcate differenze economiche a livello territoriale e in ogni zona dell’Italia preunitaria si sentiva la scarsità di grandi industrie: Parteno ‘e bastimente pe terre assaje luntane… Càntano a buordo: só Napulitane! Cantano pe tramente ‘o golfo già scumpare, e ‘a luna, ‘a miez’ô mare, nu poco ‘e Napule lle fa vedé.

La tammurriata: dalla famiglia delle tarantelle meridionali, la danza contadina per eccellenza.

Le origini di questo ballo sono antichissime e risalgono al mondo greco e alle danze dei popoli campani, come i sanniti. Al tempo dei greci, la danza era ritenuta un dono degli dei attraverso il quale gli uomini potevano avvicinarsi alla divinità e avere l’illusione dell’immortalità. Per i sanniti, il ballo era un rito propiziatorio legato al ciclo riproduttivo della terra: la tammurriata è la danza contadina campana per eccellenza. La tammurriata è legata al culto delle Sette Madonne campane, che sono sette sorelle: la Madonna dell’Arco di Sant’Anastasia, la Madonna a Castello di Somma Vesuviana, la Madonna delle Galline di Pagani, la Madonna dei Bagni di Scafati, la Madonna dell’Avvocata di Maiori, la Madonna di Montevergine della provincia di Avellino e la Madonna di Briano della provincia di Caserta.A queste sette Madonne corrispondono vari stili di tammurriata, a seconda dei luoghi: l’agro nocerino-sarnese, la Costeria Amalfitana, l’avellinese e l’agro casertano. Le differenze tra gli stili riguardano la gestualità e il messaggio trasmesso: danza di corteggiamento, di combattimento o ludica. Una forza e un richiamo irresistibile verso la Madre Terra è quello che si prova ascoltando il canto e la musica delle tammurriate e osservando il ritmo della danza che nasce dalla gestualità contadina nel lavoro dei campi, come il movimento del setaccio del grano da cui deriva uno dei gesti tipici “do ball’ ngopp ‘o tambur”.

La danza del ragno: il valore simbolico del morso della tarantola “lycosa tarentula”

La taranta del Tarantismo è stata identificata con la specie di ragno oggi designata come lycosa tarentula. Gli aspetti caratteristici di questa specie,  ragno peloso scuro  e di grosse dimensioni, richiama l’immagine della “potenza del morso” che scatena reazioni emotive altrettanto intense. Rispetto alle credenze originali sul fenomeno che riconducevano lo stato dei “tarantati” all’effettivo morso dell’animale, tutto si può ricondurre ad una dimensione mitico-rituale  dove ragno, morso e veleno acquistano un valore simbolico dei mali dell’inconscio: la configurazione di deflusso e risoluzione di conflitti psichici irrisoluti che ” rimordono”. Il morso non è reale ma è interno  che torna in modo ciclico  finchè non avviene il rinnovamento e quindi la risoluzione. Il fenomeno prevalentemente femminile e il suo rito ciclico era legato alla tradizione contadina dove maggiormente erano impiegate le donne principalmente nella raccolta e si riferiva soprattutto ai cicli stagionali del raccolto nella stagione calda dove più si palesavano questa specie di ragni. Oltre al legame simbolico tra stato conscio di oscurantismo, peso dell’anima, pulsioni inconsce con l’aspetto del ragno, anche la danza nel rito curativo ne descrive i tratti e ne riproduce il fenomeno di liberazione. Per vincere e liberarsi dalla taranta è necessario mimarla e assecondarla fino a schiacciarla e scacciarla definitivamente. Al ritmo della musica bisogna “farsi ragno e danzare col ragno”: il rito curativo tradizionale osservato infatti vede una fase iniziale di posizione del tarantato al suolo, mimando appunto le movenze del ragno, man mano riprende la propria naturale postura  in piedi,  in questa fase cerca di scacciarlo calpestandolo e arginandolo: questo momento si legge nei movimenti del continuo e incessante battere dei piedi a terra tipico della danza, un ritmo quasi violento, la definizione di un percorso circolare, inseguendo e sfuggendo il ragno e i movimenti  scaricatori e idoleggianti di braccia e mani spesso accompagnati da nastri o stoffe colorati legati al ragno artefice del  morso, cioè ai colori dei mali dell’anima.